La Costruzione – Parte 2a

La costruzione

I costruttori del Naviglio dovettero affrontare una serie di problemi idraulici molto complessi e li risolsero con l´ideazione ed il successivo perfezionamento delle nuove tecniche costruttive. Uno dei primi problemi fu quello di prelevare una quantità d´acqua costante dal grande fiume Ticino, la cui portata è estremamente variabile. Per tale ragione le prese d´acqua dei navigli erano costituite da sbarramenti che presentavano un andamento obliquo o addirittura longitudinale rispetto al corso d´acqua; la loro funzione era quella di deviare nel canale una parte del flusso del fiume assecondandone la corrente.

L´altezza dello sbarramento era tale da consentire alle acque di superarlo agevolmente; in questo modo al naviglio è garantita una portata minima in tempo di magra, mentre la maggior parte delle acque di piena rimane al fiume.

 
La derivazione delle acque dal fiume Ticino è ottenuta mediante una diga detta "La Paladella", edificata attraverso l´alveo del fiume, lunga 280 metri e larga da 9,50 a 17,80 m. costruita con una platea di massa muraria con sovrastruttura in lastricato di granito, raccordata da taglioni e colonne di rovere. Sulla destra della diga fu mantenuta un´apertura, della luce di 60 metri, detta la "Bocca di Pavia", per un più facile sfogo delle piene. La presa del Naviglio Grande, nonostante i restauri e i rifacimenti subiti nel corso dei secoli, conserva ancor oggi la struttura originaria

Il Cattaneo (1) ci riferisce che:" le sponde del naviglio Grande per sette decimi sono munite di scarpe selciate, ovvero di muri a secco, per lo più verticali, e protetti con palafitte dall´urto delle barche. Per la lunghezza di 11 chilometri, da Magenta a Castelletto, il fondo è difeso dalle corrosioni della corrente con 96 briglie di selciato. Nel tronco superiore la sua larghezza varia dai 50 ai 22 metri e nell´inferiore dai 24 ai 12. Le acque irrigatrici si estraggono dal Naviglio per 116 bocche, delle quali solo 4 a sinistra."

Un grande ostacolo lungo il tracciato del naviglio era costituito dalle scarpate che bordavano le valli del fiume da cui trae le acque. Per superare tale dislivello non era, e non è tuttora, possibile sollevare l´acqua con mezzi artificiali, sia per ragioni tecniche, sia soprattutto per ragioni economiche. L´unica soluzione praticabile fu quella di studiare un tracciato che consentisse d´innalzare gradualmente il canale lungo il fianco della valle per giungere a livello della pianura; non si tratta certamente di costruire un canale in salita, ma di sfruttare abilmente la forma del terreno, in modo tale che la pendenza del naviglio risulti inferiore a quella della valle e a quella della pianura in cui essa è incisa. In questo modo, mentre il Ticino scende verso sud, il Naviglio Grande scende anch´esso nella stessa direzione ma più lentamente del fiume e si ha l´impressione che il canale s´inerpichi lungo il fianco della valle.

Riferendosi alle caratteristiche dei canali del Milanese, il Cattaneo afferma che i nostri canali, ad un tempo navigabili ed irrigatori, sono costruiti sopra un principio speciale: non sono una serie di tronchi orizzontali, come i canali oltremontani di mera navigazione, ma sono veri fiumi, prima inclinati fortemente, poi progressivamente moderati, per accogliere, di tronco in tronco le diseguali masse d´acqua che l´irrigazione viene successivamente emungendo (2).

A Milano il naviglio comunicava con il laghetto di Sant´Eustorgio, corrispondente all´odierna Darsena di porta Ticinese e quindi i barconi, che trasportavano i marmi necessari per la costruzione del Duomo, per avvicinarsi il più possibile al luogo della costruzione venivano condotti per la cerchia interna al Laghetto di Santo Stefano.

 
 
Quest´ultimo tratto di navigazione non era facile e sicura in quanto si doveva vincere la differenza di livello fra i due laghetti. Venne quindi costruita una chiusa provvisoria sotto il laghetto di Sant´Eustorgio per impedire che l´acqua, immessa nei canali interni per alzare il livello al piano del Laghetto di Santo Stefano, defluisse nel Naviglio.

Questo sistema portava sicuri vantaggi ai privati che agevolmente potevano avvicinare i loro carichi di merci ai magazzini di città; nel contempo creava scomodità agli agricoltori che utilizzavano l´acqua per i loro campi, in quanto, per garantire la navigazione, era necessario interrompere frequentemente l´irrigazione e inattivare le chiuse appena costruite. Il sistema era troppo lento e l´uso dell´acqua per altri fini, che non fossero la navigazione, subiva pesanti e ricorrenti interruzioni.


Proprio questo inconveniente portò a una di quelle invenzioni che, nella storia della tecnica, costituiscono le svolte decisive fra un periodo e l´altro. Si pensò di limitare la variazione di livello dell´acqua solo a quel tratto del canale che conteneva strettamente la barca in transito, mediante l´impiego delle chiuse. Nacque così la conca, invenzione grandissima poi applicata alla navigazione interna di tutto il mondo, vanto dell´ingegneria italiana che viene attribuita agli architetti Filippo da Modena e Fioravante da Bologna.

Il sistema adottato consisteva nell´accostare le chiuse a due a due, in modo da attuare il passaggio a differenti piani nello spazio e nel tempo più breve possibile: si ebbe così un sistema di conche che trasformava il canale quasi in una scala, in cui le imbarcazioni salivano o scendevano i gradini con una certa velocità.

La conca di Viarenna a Milano, situata pressappoco dove oggi sorge la via Conca del Naviglio, è stata la più antica che si conosca e venne costruita ai tempi di Filippo Maria Visconti, intorno al 1439.

In questo periodo di grandi realizzazioni idrauliche, giunse a Milano Leonardo da Vinci. Anche se egli non fu l´inventore delle conche di navigazione, ne perfezionò la tecnica specie per quanto ha riguardato le porte d´ingresso e d´uscita delle barche e la suddivisione dei dislivelli in più salti per rendere più maneggevole la manovra della porte, gravate così da spinte idrauliche più basse